Da che qualcuno ha capito l'enorme potenziale della mente, invece che dallo psicologo (che nel suo piccolo poneva ciò che chiami "io" ossia un misto di pensieri, ferite e sogni al primo posto ma senza la pretesa di soggiogare il mondo e la vita) si va dal Life coach per manifestare abbondanza e realizzare sogni.
A nessuno viene in mente di osservare sé stesso, la propria esistenza, con onestà, prima di credere a ciò che chiamiamo "i nostri sogni".
Perché se fossimo davvero onesti, già che ci piace uscire dal presente per pensare al futuro e spostarci da dove siamo (relazioni, lavoro, luogo, ruolo, identità), allora guarderemmo il passato e altre persone con disarmo e ci accorgeremmo di molte cose.
Ci accorgeremmo che da piccoli non avevamo nemmeno un'identità: ma eravamo felici.
Che i primissimi anni giocavamo con niente. E ogni cosa era viva.
Ci accorgeremmo che in fin dei conti quando siamo malati, se non ci azzanna la paura e se siamo sinceri, assistiamo a una forma inconsueta e benedetta di pace.
Che l'abbandono a chi si cura di noi, o a qualcosa che sentiamo dentro di vitale e quieto a dispetto di tutto, forse
ha a che fare con il vuoto. E non col pieno. Con lo smettere la pretesa e non col nutrirla.
Che quella volta che abbiamo dovuto mandare all'aria tutti i piani perché nostro figlio aveva la varicella, in fin dei conti dopo un momento di reattività, abbiamo sentito un sollievo che non sapevamo spiegarci. È il sollievo del lasciar andare. E una gioia: la gioia del servizio.
Ci accorgeremmo anche che quella ragazza di cui abbiamo sentito e che sta per morire, sembra più serena e libera di noi.
Che i bimbi dell'Africa sorridono senza sosta.
Quando è cominciata la quarantena per il covid nel 2020, il primissimo giorno ho avuto una gioia incontenibile più simile a uno stato di beatitudine: per qualche ragione sapere che sarei stata blindata in casa, senza scelta, togliendo ogni altra scelta semplificava talmente tutto, e lo spazio che si cerca nel fare, nei luoghi, sempre altrove, scavò un cielo dentro.
Alcuni prigionieri hanno avuto un risveglio spirituale in carcere.
Quello che si crede di raggiungere fissando obiettivi e manifestando sogni e poteri, è una nuova forma di consumismo e di compensazione. Invece che materiale è di informazioni, capacità, identità, desideri, traguardi.
Quello che stiamo sempre evitando è l'incontro col buco che ognuno ha dentro (e che non è un buco affettivo né di traumi).
Possiamo osservare o sospettare che i momenti di maggiore pace non sono stati quelli in cui lo riempivamo ma in cui da quel buco arrivava l'odore buono del non bisogno. Del non risolvere niente della vita.
Be naked.
Maddalena
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